L'ultimo abbraccio - Il romanzo di Gian Ettore Gassani

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di Gian Ettore Gassani

L’ULTIMO ABBRACCIO

(DIARKOS EDITORE)

Il romanzo dell'avvocato scrittore Gian Ettore Gassani

70 anni di solitudine, di dolori, amore e speranze. Ecco, basterebbero poche parole per descrivere il messaggio di questo romanzo.

Per me, che sono un dilettante, scrivere questo libro è stato come scalare il K2 a piedi nudi. Un’impresa che mi sembrava impossibile portare a termine, una fatica mentale e fisica dalla quale ci si riprende dopo molto tempo. Ma la forza di volontà mi ha aiutato ad arrivare fino in cima.

Scrivere un saggio o testo professionale è molto più semplice. Ne ho scritti tanti. Basta concentrarsi su alcuni argomenti, fare qualche ricerca, proporre qualcosa di nuovo, e il gioco è fatto.

Un romanzo, invece, è tutta un’altra cosa: significa chiedere aiuto alla propria anima e denudarsi al cospetto del lettore. Significa costruire una storia, aggiustarla, renderla viva. Un po' come uno scultore che da un blocco di marmo (che è la trama) ricava una scultura (che è il libro finito).

Ci ho messo dieci anni per scriverlo, o meglio per dieci anni l’ho tenuto come un sogno nel cassetto. Poi negli ultimi due ho accettato la sfida, sacrificando 56 fine settimana e rubando anche qualche minuto a qualche momento di pausa.

L’Ultimo abbraccio vuole essere un messaggio di speranza per chi sta indietro, per chi ha perso tutto, per chi è caduto senza averne colpa, per chi pensa che raggiungere i propri sogni sia soltanto una questione di fortuna.

La storia si consuma in Ucraina, ma con la attuale guerra non c’entra niente. Il libro finisce nel 2007. Ma è una testimonianza fedele e spietata di un territorio e di un popolo fiero alle prese da sempre con grandi sfide da affrontare.

Dimitri Wozniak è il protagonista principale del racconto. E’ un ebreo polacco, scampato con la sua famiglia, al rastrellamento nazista durante la seconda guerra mondiale. Riuscirà a integrarsi a Pozen, città che non esiste sulla mappa geografica, ma esiste nella realtà con un altro nome.

Dimitri è un uomo solo. La prematura morte della moglie lo ha distrutto e la fuga da casa del figlio Gleb è stato il suo colpo di grazia. L’unica persona al mondo con la quale ha un contatto è sua sorella Maria, che vive a Vladivostok. Con Maria ha diviso il dolore della perdita dei genitori, quando erano ancora ragazzi, e la segregazione in un internat (orfanotrofio).

Ma di protagonisti del romanzo ce ne sono tanti. Vi è un intreccio di personaggi con il loro fagotto di dolore e solitudine. Un giorno Dimitri si prenderà cura di Svetlana, una bambina di Mosca, trasferitasi a Pozen con la madre Alina dopo la tragedia di Chernobyl, e scoprirà che amare un bambino non dipende da questioni genetiche o di parentela. E’ solo un istinto naturale.

Qualche anno più tardi Svetlana, dopo la morte della madre, entrerà anche lei nello stesso orfanotrofio dove aveva vissuto Dimitri. E lì, in quel luogo dimenticato da Dio, che Dimitri aiuterà Svetlana e altri quattro suoi coetanei senza famiglia, portatori di angosce e dolori, e con una vita da vivere senza speranze.

L’internat è un posto volutamente nascosto come se il mondo si vergognasse di lui o non volesse ammettere la sua esistenza. Lì dentro ci sono ragazzi figli di femminicidi, ci sono trovatelli o ragazzi diversamente abili. C’è fame, miseria, solitudine, pazzia. Eppure l’internat, nonostante tutto, è un luogo immune alle piccinerie del mondo che sta fuori. Non esiste alcuna forma di invidia tra i ragazzi, non esiste il mio, non c’è cattiveria. Esiste il “nostro”, esiste un destino comune, esiste un mutuo soccorso. Gli orfani sono reclusi, non conoscono il mondo esterno, eppure avvertono il bisogno di qualcuno che li faccia sentire vivi e che li tiri fuori dal carcere della loro vita.

Dimitri riuscirà in pochi anni a trasmettere, all’ombra di una quercia secolare, il senso del riscatto a questi ragazzi. E lo farà come se lui fosse il nonno di tutti, regalando a tutti la possibilità di guardare al futuro con ottimismo e uscire dalla palude della tristezza.

Poi c’è un mondo sconosciuto ai più, quello delle famiglie affidatarie, composto da persone meravigliose

che hanno fatto come Dimitri. Sono quelle migliaia di famiglie che hanno offerto, a proprie spese, amore ai ragazzi di Chernobyl.

Questo è un libro nel quale ciascuno di noi può rispecchiarsi perché narra di vicende universali che non hanno luogo né tempo. Chiunque di noi, almeno una volta, è stato messo spalle al muro dalla vita, e chiunque di noi ha dovuto fare i conti con la propria solitudine. Ci sono tanti personaggi in questo racconto, descritti nella loro umanità, nella loro grandezza e nella loro meschinità. In questo intreccio di persone si coglie il senso del vivere tra e con gli altri. C’è chi ha fatto della propria esistenza un capolavoro e chi l’ha sprecata. C’è chi da un dolore ha tratto la forza per prendere morsi la vita e chi si è lasciato andare. C’è il messaggio potente che si può essere genitori di figli che sono stati generati da altri, e che la paternità e maternità non sono per forza una questione genetica, ma solo di cuore.

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